Bar delle grandi speranze, Il
di J.R. Moehringer (2007)
JR è nato e cresciuto a Manhasset, distretto di NY colonizzato alla fine del XIX secolo da immigranti irlandesi. Figlio di ragazza madre, è ossessionato fin dall'infanzia - lo conosciamo quando ha 7 anni - dallo spettro del riscatto: primeggiare nella vita per poter riscattare le tante sconfitte che la madre - abbandonata alla sua nascita, alla fine degli anni '60, dal compagno disc jokey radiofonico violento ed alcolizzato - ha dovuto subire per poterlo allevare. Le umiliazioni della vita a casa dei genitori, l'abbandono forzato degli studi universitari per poter trovare un misero lavoro, la mancanza di un nuovo amore nella sua vita: JR si sente responsabile di tutto ciò e vuole porvi rimedio. Ma tutti i suoi buoni propositi - dalla laurea a Yale tramite borse di studio, al sogno di diventare avvocato - vengono di quando in quando minati, frenati, condizionati da una necessità impellente: trovare (almeno) una figura maschile di riferimento, un modello in carne ed ossa che sostituisca quella voce alla radio - quella paterna - della quale JR da sempre va a caccia lungo mari di frequenze ad onde medie. Ed ecco entrare nella vita di JR il Dickens (poi Publicans), il più noto pub di Manhasset gestito dal mitico Steve, per il quale lavora come barista Charlie, lo zio di JR. Un nugolo di mosche da bar, con le loro discussioni su baseball, sesso, cocktail, ma anche con le loro disquisizioni più o meno spiccie sul senso della vita, diventeranno l'universo maschile di riferimento del protagonista lungo la sua infanzia, adolescenza e maturità. Un romanzo di formazione - questo Il bar delle grandi speranze (edito Piemme) - avvincente, commovente, scanzonato e drammatico al tempo stesso. Splendido ritratto di un'infanzia rubata - ma non depredata - di una società, una comunità - come quella dei baretti dei nostri nonni - che sebbene in preda all'alcol, alla semi-incoscienza, alla goliardia alticcia è in grado - coi pochi mezzi che ha a disposizione - di proteggere l'innocenza quando se la trova di fronte: prova ne sia il titolo originale, che giocando deliziosamente sul termine inglese barista (The bartender) dà titolo Il tenero bar (The tender bar) alla storia. Peccato per l'epilogo, eccessivamente melenso e retorico, che dipinge di un dolore genuino - quello per le stragi dell'11 settemre 2001 - ma direi inopportuno, forzato, avulso dal resto del romanzo, fino ad allora perfetto, genuino, brillante ed inusualmente illuiminato. PROSIT!
GIUDIZIO: WW 1/2
Una pellicola - quella ispirata a questo bellissimo romanzo - da far interpretare ad attori con volti veri, franchi, scanzonati, sinceri, come quello - perfetto nei panni di JR - dello scomparso Heath Ledger.
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