Jezabel
di Irène Némirovsky (2007)
Sull'onda lunga dello strepitoso successo di Suite francese, la Adelphi pubblica ora questo non esaltante Jezabel, apparso per la pima volta intorno al 1936. Nella seconda metà degli anni trenta le cronache parigine sono tutte focalizzate sul processo per omicidio nei confronti della bellissima Gladys Eysenach, rea confessa: ammette di aver sparato al giovanissimo, presunto amante Bernard. Il tribunale è strapieno di curiosi, che accolgono con un brusio l'ingresso in aula della donna; l'interrogatorio ha inizio e - con un filo di voce - Gladys risponde a monosillabi alle domande che le vengono poste, quasi rinunciando a difendersi. In una sorta di sviluppo al contrario della vicenda, la Némirovsky ci riporta alla gioventù della splendida donna, alle sue conquiste, alle divinità alle quali decise di dedicare la propria vita: bellezza, gioventù e conquiste maschili. Una scelta che vizierà tutta la sua esistenza, mietendo vittime su vittime - spesso innocenti - fino a renderla schiava, ossessionata, prigioniera di un incubo che lei stessa ha generato. Un romanzo breve molto femminile, per certi versi molto attuale, tanto da lasciare di stucco il lettore: temi come l'accesa rivalità tra donne, la loro ricerca della bellezza a tutti i costi, dell'attenzione degli uomini, dell'eterna giovinezza affliggevano le donne di due secoli fa e - nonostante il femminismo e la rivoluzione sessuale - sono all'ordine del giorno ancora oggi. Oggi come allora l'apparire è sovente il comandamento, se poi c'è anche della sostanza... ben venga. Un'involuzione costruita su menzogne, paure e puro egoismo quella di Gladys, sostenuta dal palcoscenico, dalla scenografia di un corpo che pare incapace di invecchiare... Una parabola verso l'orrido della follia, in uno dei più macabri gesti che un essere umano possa compiere: l'uccisione dell'unica prova vivente del suo invecchiamento, del suo decadimento fisico. Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia...
GIUDIZIO: W 1/2
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