Fastball - Little white lies
(2009)
Inaspettatamente, viste le alterne fortune della band, nell'aprile 2009 esce il quinto studio album dei Fastball, geniale trio texano fautore di un pop-rock di classe eccelsa. Little white lies prosegue il cammino di maturazione della band - culminato nel precedente Keep your wig on - concentrandosi su un tema che funge da fil rouge in tutte e dodici le tracce che lo compongono: una forte attenzione alla sfera personale, una dura critica ai modelli che lo star system ed i media in generale ci propongono in modo ossessivo. Fin dalla copertina, che ritrae Tony Scalzo & C. in pose da paparazzi, risulta chiaro come per i Fastball - e come non essere d'accordo - siamo tutti continuamente sotto esame: per come amiamo, per come ci vestiamo, per come modelliamo il nostro fisico... La opening track All I was looking for was you è un brano cadenzato sul tipico sound della band, un ponte ricorrente nella sua produzione che collega il primo album all'ultimo, rimarcando la forte personalità del trio. Racconta di come, da giovani, si vada in lungo e in largo per il mondo alla ricerca di qualcosa che ci completi - la famosa ricerca di se stessi - mentre tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno è semplicemente una persona, che probabilmente è sempre stata a pochi isolati di distanza da casa nostra... Ma mantenere saldo un rapporto a due non è cosa facile, racconta la successiva Always and never, e la fine dell'amore è sempre in agguato. Restare soli non è però sempre un male, anzi può aiutare a fare dei bilanci, ad isolarsi da un mondo ipocrita e plastificato, ritarando i propri metri di giudizio, riclassificando i valori per noi davvero importanti: è quanto ci suggerisce la meravigliosa The malcontent (modern world), pezzo riuscitissimo che ammicca a The Way, il più clamoroso hit della band (uno dei 100 brani più belli degli anni novanta secondo l'emittente americana VH1). E' poi la volta della title track Little white lies, che mette alla gogna le piccole bugie innocenti che ogni tanto ci si racconta quando si incontra un ex verso il quale si cerca di ostentare indifferenza. E questi atteggiamenti si pagano, quando emerge la malinconia per un amore perso a causa dell'orgoglio, un amore potente, capace di cambiare la vita, come quello raccontato da Mono to stereo. Il dolore ed il rammarico, il senso di solitudine ed impotenza che si prova di fronte alla consapevolezza di aver gettato ai rovi la cosa più preziosa della nostra vita è reso in modo straordinario nella strepitosa How did I get here?, la punta di diamante di questo album. Un pezzo emozionante, sofferto, dove la voce roca di Scalzo è accompagnata da accordi chitarra classica-chitarra elettrica da brividi: da sola varrebbe l'acquisto dell'intero CD. Si continua su questi registri parlando di depressione, ipocrisia, ma anche di ritorno alla vita e nuovi amori, il tutto costruito su impianti musicali sempre molto coinvolgenti e divertenti, come quelli dell'arrembante Rampart Street o quelli melodici e delicati di Soul Radio. Un album di altissimo livello, l'ennesimo di una band che meriterebbe i più importanti palcoscenici mondiali, ma che invece si impone solo come protagonista in poche realtà locali, quali Texas e dintorni. Gioiello nascosto!
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