Pearl Jam - Backspacer
(2009)
C'erano una volta le macchine da scrivere e - su quelle in lingua anglosassone - un tasto chiamato backspacer: schiacciato quello il carrello scattava indietro, all'inizio dell'ultima riga compitata, permettendo la ribattitura di eventuali errori commessi, previa la classica pennellata di bianchetto. C'era una volta il grunge, quella musica dura che raccontava il malessere di una generazione, la solitudine degli adolescenti cresciuti negli anni ottanta, la disperazione di aver spesso, come unica compagnia e soluzione, quella artificiale della droga... una musica che era sinonimo di Soundgarden, di Nirvana, di Pearl Jam. Le macchine da scrivere sono ormai pezzi da museo, Nirvana e Soundgarden un (bel) ricordo... Backspacer è invece il titolo del nono album in studio registrato dai Pearl Jam in diciannove anni di carriera sulla cresta dell'onda: non un punto a capo, dunque, ma una sorta di bilancio, di quadratura del cerchio di quanto fatto fino ad oggi. Scomparso definitivamente - si spera - il loro nemico pubblico numero uno (Bush Jr.), i PJ sembrano volersi dedicare una parentesi di svago, apparentemente lontana dalle tipiche atmosfere introspettive e dalle denunce socio-politiche gridate al mondo intero: quasi un omaggio al clima d'ottimismo ed entusiasmo che l'elezione di Obama sembra aver - almeno inizialmente - regalato alla nazione ed al mondo intero. E' come se i 5 di Seattle gettassero la maschera pubblica ed impegnata, per invitarci a vivere una mezz'ora abbondante in casa loro, tra amici. Ed il "buona sera" tutto italiano, che fa da prologo al ritornello dell'opening track Gonna see my friends, sembra proprio sottolineare questo clima di convivialità e svago che pervade tutta l'atmosfera del disco. Ma spesso dove c'è festa - si sa - c'è droga, quindi un piccolo capitolo dedicato alla fuga dalla realtà, tipica della frenesia euforica dei giorni nostri, appare anche qui: è Got some, il pezzo più fedele alle atmosfere classiche del gruppo. Subito dopo ecco apparire la canzone simbolo di Backspacer, nonchè primo singolo estratto dall'album: The fixer, un pezzo pop-rock incalzante ed ammiccante, con tanto di clapping e yeah yeah yeah a cadenzare i ritornelli, un brano ottimista, spensierato, tanto fatalista da chiudersi con la frase "I'll dig your grave/we'll dance & sing/what say, could be our last lifetime!". I grandi amori di Vedder - la natura, la muscia dei Ramones ed il surf - dominano i testi e le atmosfere di questo disco: lo testimoniano brani come Just breathe, figlia della parentesi Into the wild del frontman del gruppo, o la metafora oceanica della vita di Amongst the waves. Lo fanno anche le sonorità punk-rock vecchia maniera di Supersonic o la celebrazione della donna come forza della natura di Force of nature. Un album breve - 37 minuti per 11 brani - che rappresenta un piccolo strappo nella produzione dei PJ, che avvicinerà al gruppo gli ascoltatori più refrattari alle loro tipiche atmosfere dure e cupe, allontanando forse parte dei fan più estremi e puristi. Qualcuno potrebbe dire che Backspacer è per i Pearl Jam quel Load fu per Metallica, una sorta di furbesco strizzare l'occhio al grande pubblico... era una sciocchezza nel 1996, lo sarebbe anche oggi: i gruppi musicali sono fatti di persone, che crescono ed evolvono. Solo chi non cambia di una virgola il proprio sound per trent'anni (mi vengono in mente gli Scorpions) strizza l'occhio al mercato. I PJ sono vivi e vegeti e nascoste in questo disco ci sono canzoni che continueremo a cantare per anni, prime fra tutte Unthought known, Force of nature e Just breathe. Do the evolution!!!
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